Tag Archive | EURO

Corona virus e ruolo dello stato

images

Il corona virus avrà un impatto notevole non solo sull’economia ma anche sulla politica. La pandemia può rivelarsi un vero e proprio spartiacque tra un prima e un dopo dove tutto viene messo in discussione alla luce della nuova situazione. Una volta  quest’incubo sarà finito (speriamo il prima possibile), quattro temi saranno al centro del dibattito politico che avranno un’interpretazione diversa alla luce di questa epidemia:

Partiamo dal primo punto. Il corona virus ha messo a nudo le debolezza delle politiche liberiste che per anni hanno ridotto all’osso il ruolo e il peso dello stato nel nome della crescita economica. Alla luce di queste politiche lo stato veniva dipinto come un mostro che andava fatto morire di fame tagliando la spesa pubblica e privatizzando il piú possibile. All’interno di un’economia internazionale senza regole, era necessario ridurre le tasse per permettere la competitività delle aziende sui mercati internazionali. La riduzione delle tasse era una manna per i capitali e per chi li possiede ma una maledizione per chi deve contare sui servizi pubblici ridotti sempre piú all’osso. Questo modello di organizzazione sociale conta sul fatto che tutti sono guidati dal profitto e questo muoversi unanime nella stessa direzione migliora la vita di tutti, permettendo di risolvere i problemi grazie alla sua forza di adattamento alle circostanze. Il profitto spinge le persone a dare il proprio contributo alla società alzandosi al mattino e andando al lavoro. La flessibilità e il decentramento dei centri decisionali, non piú nello stato ma nelle singole aziende, presuppone l’immediata identificazione di problemi e la sua soluzione. Le disuguaglianze create non sono un problema per se ma il premio a chi dimostra di essere piú intraprendente. L’ideologia dominante celebra il ricco e punisce il povero con l’esclusione sociale. Un’ideologia dominante che non invita al cambiamento ma all’adesione con l’illusione che tutti possono diventare ricchi con il proprio impegno. Il sistema si auto regge grazie ad una costante analisi dei rischi e dei problemi che impongono decisioni razionali agli attori economici che spingeranno verso la soluzione migliore dei problemi senza aspettare che intervenga lo stato con la sua lentezza e le sue distorsioni che creano solo ulteriori problemi. Il profitto diventa dunque la stella polare che tiene un’organizzazione unita e funge da  motore per garantire il suo funzionamento. La società è come una specie di grande alveare che ha il mercato come ape regina dove tutti lavorano per conto proprio ma alla fine contribuiscono a rendere quel formichiere piú grande e ricco. Lo stato al massimo è tenuto solo a punire i comportamenti devianti che sfuggono a questa logica.

L’undici settembre e la crisi del 2008 avevano mostrato i limiti di questa impostazione ma non abbastanza per sconfiggerla definitivamente. La minaccia del terrorismo islamico ha aumentato il ruolo dello stato ma purtroppo solo da un punto di vista della sicurezza. Lo stato è cresciuto ma solo per limitare le libertà individuali senza intaccare profondamente l’organizzazione del sistema economico. Lo stato è stato rivalutato ma solo nella sua funzione securitaria. Un ritorno al leviatano di Hobbes che vede nel mantenimento dell’ordine l’unica funzione dello stato dimenticando altri ruoli che esso ha assunto nel corso dei secoli, soprattutto in campo economico e sociale. Lo stato invocato per difendere la tradizione democratica dell’occidente è in realtá solamente un paravento ideologico.  Quello che contava era dare una parvenza di sicurezza necessaria a tenere in piedi un sistema economico basato sul consumismo in quanto la paura del futuro non spinge al consumo. L’undici settembre aveva fatto intravedere la possibilità di realizzare il “sogno” di un mondo dove le masse sono rese totalmente inerti nei confronti della politica all’interno di un sistema che protegge non solo il potere ma anche la capacità di arricchirsi sempre piú da parte di chi  è al vertice della piramide. Se anni di cultura dominante avevano fatto passivamente accettare la bontà di un certo sistema capitalistico, era necessario anche una forma di controllo maggiore che limitasse la capacità organizzativa di chiunque. La scusa delle leggi antiterrorismo diventava un pretesto per controllare e monitorare anche chi aveva un’agenda lontana dal terrorismo islamico ma pur sempre non allineato al pensiero dominante.

La crisi del 2008 aveva invece messo in dubbio l’idea del mercato che si regge da solo e della sua capacità di autoregolarsi e risolvere i problemi. L’idea era già sbagliata da un punto di vista filosofico in quanto ammetteva che un essere imperfetto come l’uomo possa creare qualcosa di perfetto come il mercato. Per anni abbiamo tagliato investimenti pubblici, elogiato il privato e sminuito l’importanza dello stato nel nome di teorie economiche basate su modelli economici che non prendono e non possono prendere in considerazione un aspetto della personalità umana: la sua parte irrazionale. Questi modelli economici vedono infatti l’uomo come attore economico che agisce sempre in maniera puramente razionale. Non prendono in considerazione il fatto che l’uomo non sempre agisce in questa maniera ma è spinto anche da motivazioni che esulano da qualsiasi analisi di tipo cartesiano. Uno di questi sentimenti è la paura generata dall’incertezza. Paura che si riflette nel blocco dei consumi privati, nel blocco negli investimenti, nel crollo verticale dei marcati finanziari o piú semplicemente nella corsa all’approvvigionamento nei negozi che pone problemi all’ordine sociale componente fondamentale di qualsiasi sviluppo economico.

L’ultraliberismo aveva inoltre mostrato alcuni aspetti del capitalismo già identificati da Marx, quei germi che lo portano all’autodistruzione. La concentrazione del capitale in poche mani e l’impoverimento sempre piú delle classi medie avevano creato un forte indebitamento dei privati che ha reso il sistema economico debolissimo. Il neoliberismo nascondeva infatti un’altra contraddizione di natura filosofica. Il modello economico-culturale dominante non può contemplare limiti alla crescita anche vivendo all’interno di un mondo finito. I danni all’ambiente, la riduzione delle risorse, la capacità di consumo e i limiti umani di natura psicologica sono tutti elementi che pongono limiti all’infinità della crescita generando crisi cicliche. La capacità di consumo dei privati non è in grado di assorbire la sempre crescente efficienza produttiva soprattutto quando il potere di acquisto delle classi medie e proletarie si restringe. Tutto questo facilita un sistema che punta alla diminuzione dei prezzi delle merci e dei servizi ponendo maggiore pressione al contenimento dei salari. Il caso piú emblematico sono gli Stati Uniti. Le statistiche dimostrano come la gran parte della ricchezza finisce nella rendita mentre il potere di acquisto dei lavoratori non cresce quanto la produttività. Se produrre e vendere non basta a soddisfare la crescente voglia di arricchirsi, allora si trasforma la finanza, da un mezzo al servizio dell’economia reale, in un immenso casinò globale che crea fortune puntando sull’illusione che promette meglio. Un sistema come questo arriva prima o poi ad un punto di crisi. La crisi finanziaria del 2008 aveva giá dimostrato l’incapacità della finanza di auto autoregolarsi dando vita a sofisticati “Schema Ponzi”, una colossale economia su carta scollegata dall’economia reale basata solo sull’ottimismo e la fiducia nel futuro. Quando questa speranza nel futuro viene meno, tutto crolla perché non in grado di auto reggersi. Per anni abbiamo infatti vissuto in un immenso castello di carte con un equilibrio precario dove l’economia reale passava in secondo piano e chiamata a reggere il peso spropositato di una finanza che aveva la pretesa di avere una vita propria. La finanziarizzazione dell’economia è il classico gigante dai piedi di argilla. Un’immensa ubriacatura che si basa sulla fiducia di una crescita perenne e che è costretta ad adottare un ottimismo forzato per tenersi in piedi. Ottimismo che serve per continuare a spendere e a far crescere il valore delle azioni. Un continuo girare la testa per non vedere i problemi che questo sistema crea non solo all’ambiente ma anche alla società. Se gli americani fanno la fila per comprare le armiin tempo di pandemia è anche per difendersi dalla moltitudine di poveri che possono diventare una minaccia in caso il sistema non sia piú in grado di mantenere l’ordine.

Cosi come per i profeti del capitale, anche per i profeti del socialismo la storia si è mostrata però poco ubbidiente alle leggi che gli uomini le vogliono imporre. Il capitalismo non è crollato nel 2008 e il socialismo non è nato dalla sua crisi. Il sistema non è crollato per la capacità di recupero e adattamento (resilience) intrinseco del capitalismo e per il fatto che la cultura dominante è rimasta la stessa. (Ci occuperemo degli aspetti culturali in seguito). Il capitalismo ultraliberale considera lo stato una specie di carta jolly da usare in tempo di crisi.   Come nel 1929,  a salvare il capitalismo nel 2008 è stato lo stato con interventi di natura finanziaria e regolamentativi. Nel 2008 ci siamo tutti scoperti socialisti come intitolò la rivista americana “Newsweek” ma il socialismo introdotto è stato di natura particolare. Un socialismo atto a salvare le banche e il mondo della finanza a scapito dei lavoratori. Un tipo di socialismo che ha aumentato il concentramento del capitale a scapito del lavoro come ampiamente dimostrato da Piketty nel suo ibro “Il capitale nel XXI secolo”. La soluzione trovata fu un altro giro della roulette immettendo denaro fresco attraverso gli interventi delle banche centrali (quantitative easing nell’area Euro per esempio). In poche parole, l’intervento statale fatto di salvataggi di banche, investimenti pubblici (piú negli USA che in Europa) e timidi tentativi di regolamentare il mondo finanziario ha tenuto in piedi il sistema a danno dei piú deboli. Intervento che ha fatto la felicità di chi detiene il capitale senza un impatto importante per l’economia reale in termini i salari, potere di acquisto, miglioramento della qualità della vita. Una socializzazione delle perdite attraverso l’intervento dello stato mentre si continuava a privatizzare e a distribuire in maniera ingiusta la ricchezza prodotta.

Alla luce del corona virus, le banche centrali stanno cercando di risolvere il problema nella stessa maniera ma questa volta rischia di non funzionare. Questa volta il tentativo sembra essere quello del giocatore di poker che chiede l’ultima mano che risolva tutto. Non bisogna sottovalutare la capacita di adattamento del capitalismo ma non penso che si possa tornare semplicemente a come nulla fosse. La paura generata dal virus é una paura che non riguarda solo i bilanci o chi rimane fuori dal mondo del lavoro. Il virus é un problema che riguarda tutti e sarà difficile giocare la carta della divisione dove gli interventi sono giustificati per tenere in piedi il sistema e difendere chi ha un lavoro a scapito degli altri lasciati senza rappresentanza. Questa crisi ha l’impatto emotivo del 2001 e la globalità degli effetti economici del 2008 e mostra in maniera equivocabile tutti i limiti di questa concezione del mondo. In particolare, questa crisi colpisce il sistema in due punti ideologici  fondamentali:

  • la capacità del libero mercato di risolvere i problemi collettivi
  • la sua capacita di autoregolarsi e mantenersi in piedi senza interventi esterni

Viviamo in un sistema privato di una spina dorsale capace di prendersi carico dei problemi collettivi che sono lasciati al mercato che guiderà le singoli api alla soluzione del problema. Quello che questa crisi dimostra è che il mercato muove solo verso il profitto e non verso la soluzione dei problemi e  le due cose non coincidono perché il problema diventa un’opportunità per fare profitto. Il costo delle maschere e dei disinfettanti o il costo dei tamponi negli USA sono un esempio di come il mercato di adegua immediatamente alle circostanze per creare profitto senza intaccare il problema o fornire un beneficio alle persone in difficoltà. Ammesso e concesso che il mercato si muova nella direzione della soluzione del problema e non solamente nella creazione del profitto, non è detto che la soluzione possa arrivare in tempo utile. Aziende farmaceutiche stanno per esempio lavorando per trovare un vaccino ma ognuna lavora per se senza condividere i propri risultati. Questo non vale solamente per il corona virus ma anche per i problemi ambientali. Il mercato non sta trovando soluzioni ma semplicemente sta sfruttando la situazione per produrre profitto sfruttando il problema: assicurazioni, vendita di sistemi di sicurezza, marketing ambientale per vendere piú prodotti etc. Seguendo il modo di pensare corrente, il mercato risolverà il problema del riscaldamento globale perché il petrolio aumenterà di prezzo a seguito dei limiti dei giacimenti. Questo renderà piú conveniente altre forme di energia senza tenere conto che quando questo accadrà può essere troppo tardi.

Un’intera società che basa la propria organizzazione sul mercato, riducendo sempre piú il ruolo dirigista dello stato, è come una macchina a guida autonoma che non è in grado di sterzare. Fino a quando la macchina viaggia su un rettilineo tutto va bene, ma i problemi iniziano appena s’incontra un imprevisto. L’undici settembre, la crisi del 2008 e il corona virus hanno infatti mostrato l’incapacità delle nostre società a far fronte ad eventi eccezionali  che richiedono non solo investimenti a fondo perduto ma anche l’intervento rapido di un organismo centrale che non può che essere lo stato. Tornando all’esempio del veicolo a guida autonoma, il nostro modo di organizzare la nostra vita collettiva, basato sul mercato che si autoregola, ha mostrato i suoi limiti nel cambiare direzione in tempi brevi per evitare gli ostacoli. Al netto della sua natura (tema che discuteremo in seguito), la Cina sta uscendo uscita rapidamente dalla crisi creata dal corona virus grazie alla presenza di uno stato che non è stato smantellato nel nome di un’ideologia economica che prende in considerazione solo e soltanto il profitto.  La cultura dominante nell’occidente ha imposto il profitto e la ricchezza come unico valore e metro di giudizio di tutto quello che riguarda l’esperienza umana. Anche lo stato si doveva adeguare a questa logica liberandolo di tutto quello che non serve. Il problema è che il profitto ha una logica di breve periodo e rende ciechi perché non permette di prendere in considerazione nient’altro.  Seguendo questa logica, Trump aveva cancellato per esempio  il team che si occupava di contrastare le epidemie. Tutto questo rende le nostre società molto vulnerabili in quanto manca una forma di organizzazione efficiente capace di orchestrare una risposta nel piú breve tempo possibile. Se l’undici settembre aveva mostrato la necessità dello stato in termini di sicurezza, il corona virus rende palese la necessita dell’intervento dello stato da un punto di vista sanitario. Come l’undici settembre ha richiesto il ruolo dello stato per organizzare la difesa la sicurezza della gente, l’epidemia del 2020 dimostra come l’intervento pubblico sia necessario per la salute collettiva. Non si può fare affidamento solo ad un sistema sanitario privato che ha come principale obbiettivo il profitto e non la salute della gente. Non si possono tagliare spese sanitarie senza pagare pegno. Il corona virus è stato uno “stress test” per una sanità creata per produrre profitto o ridimensionata per non pesare sul sistema economico e il test è stato fallito. Tra la Spagna che requisisce le cliniche private, gli USA che non forniscono test perché troppo costosi, le difficolta del modello Lombardo che puntava sul privato e soprattutto il prezzo da pagare dall’assicurazioni private tutto porta a pensare che un cambiamento di rotta sia necessario. Sia chiaro, questo cambiamento sarà imposto non perché la salute della gente stia a cuore del modello dominante ma perché il sistema economico non si può permettere gente chiusa in casa.

La mancanza di una spina dorsale capace di addossarsi le responsabilità per far fronte agli imprevisto  riguarda soprattutto il sistema economico. Eventi straordinari come questo dimostra come poco razionale sia l’uomo come attore economico e come il profitto da solo non può bastare a riattivare l’economia. Quando il sistema è paralizzato dall’incertezza, si rende necessario l’intervento dello stato in chiave keynesiana per far ripartire gli investimenti perché il privato non sarà in grado di farlo attanagliato dalla paura e fortemente compromesso dalla crisi. Intervento dello stato che non può essere limitato soltanto agli investimenti ma che deve riguardare anche la questione della regolamentazione della finanza. Il mondo finanziario non può essere lasciato libero di organizzarsi come un immenso casinò ma deve tornare alla sua funzione primaria: finanziare l’economia reale. La finanza lasciata a se, non è stata capace di autoregolarsi neanche alla luce del 2008. La soluzione di pompare denaro fresco nei mercati ha semplicemente inflazionato i listini senza un impatto reale nell’economia reale in termini di qualità del lavoro e della sua retribuzione. Si è rimesso di nuovo in piedi il gigante con cambiamenti marginali ai suoi deboli piedi. La rivalutazione dello stato non può non passare dalla sua capacità di redistribuire la ricchezza prodotta per evitare società spaccate. Lo stato deve rafforzare quei servizi che costituiscono la spina dorsale su cui una collettività si regge e può contare in caso di emergenze. E’ illusori pensare infatti che il corona virus sia un avvenimento eccezionale per la sanità come il terrorismo islamico era stato per la sicurezza. La storia umana non è finita e il collasso ambientale proporrà altre sfide che non possono essere risolte senza un’organizzazione collettiva efficiente. Organizzazione collettiva che dagli albori dell’umanità ha permesso agli individui di affrontare le sfide comuni.

Se il corona virus ha messo a nudo ancora una volta i limiti del neoliberalismo, rischia però di farci passare da un eccesso all’altro. La tentazione potrebbe essere quella di svoltare verso uno stato autoritario che tenga insieme la società lasciando intatto il sistema economico cosi com’è. Se la crisi sanitaria che viviamo pone delle domande sul ruolo dello stato riporta in auge anche un dibattito sulla natura dello stato. La paura, il senso di smarrimento e la sfiducia nel sistema possono essere usate per imporre uno stato padrone. Ancora una volta, chi crede nella razionalità della storia come cammino verso la libertà come Croce pensava, dovrà fare i conti con una realtá che può considerarsi razionale solo e soltanto alla luce del pensiero dominante. Quel pensiero dominante che considerava razionale limitare lo stato nel nome del profitto. La storia non è razionale e il credere che lo sia è profondamente irrazionale. L’unica razionalità politica è non avere una fiducia cieca nel futuro ma convincersi che questo dipende dalle scelte nel presente alla luce di un’analisi e una riflessione sui problemi contemporanei. I tempi che viviamo impongono una riflessione non soltanto sul ruolo dello stato ma anche sulla sua natura

 

 

 

 

Mattarella, la Costituzione e gli avvelenatori di pozzi

FME_MyEdu_Gazzetta-ufficiale

Il rifiuto di nominare Savona come ministro dell’Economia è uno di quei momenti storici di cui se ne parlerà per anni. Tra qualche anno i manuali di Diritto Costituzionale parleranno di questo rifiuto e la dottrina costituzionale discuterà sul piano giuridico della decisione del Presidente della Repubblica. I costituzionalisti sono spaccati: da una parte una minoranza guidata da Onida e l’Associazione Nazionale Giuristi Democratici che pensano che Mattarella abbia esagerato nella sua interpretazione della costituzione; dall’altra parte Cassese, Ainis, De Servo, Flick e Zagrebelzky (non chiaramente ma lo fa intendere) sono dalla parte del Presidente della Repubblica. Il fatto che i costituzionalisti non sono unanimi dovrebbe far riflettere e richiamare alla calma. Invece una parte della politica grida allo scandalo, mentre la rete si lascia andare a sfoghi gridando al colpo di stato o alla Merkel che guida il paese. Il risultato finale è un avvelenamento dei pozzi che aiuterà certo a vincere le elezioni ma rischia di compromettere la democrazia nel nostro paese. Premesso che personalmente penso che Mattarella abbia commesso un errore politico, ritengo che la sua decisione sia costituzionalmente corretta o per lo meno in linea con essa. Non voglio fare il costituzionalista di turno (anche se studiare diritto pubblico è una cosa che ricordo con piacere dei miei studi universitari) ma il ragionamento sulle motivazioni di Mattarella sono importanti per capire che gridare all’impeachment o al colpo di stato non ha senso anche se non si è d’accordo con la scelta del presidente.

La discussione non può che partire dal famoso articolo 92:

“Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri.”

Da questo si evince che il Capo dello Stato nomina i ministri, ovvero è responsabile della nomina dato che è lui che mette la firma e non si può chiedere a qualcuno di mettere la firma senza il suo consenso. Se il suo consenso non fosse necessario la costituzione avrebbe previsto che il presidente del Consiglio sceglie i ministri e va a chiedere il voto di fiducia al parlamento senza il passaggio dal Quirinale. Lo stesso articolo non dice che il presidente del consiglio “indica” ma “propone”. Nel linguaggio comune “propone” non implica un obbligo.

Oltre la costituzione scritta c’è anche la costituzione materiale ovvero quella effettivamente vigente. La costituzione materiale si basa sulla costituzione scritta ma ha anche al suo interno le consuetudini che fanno giurisprudenza. Nella storia repubblicana i Presidenti della repubblica hanno spesso e volentieri rifiutato la nomina di ministri. I casi piú famosi sono:

1978: Pertini non vuole Darida come ministro della difesa

1994: Scalfaro non vuole Previti alla giustizia

2001: Ciampi dice No a Maroni alla giustizia

2014: Napolitano non vuole Gratteri sempre alla giustizia

In realtà i casi probabilmente sono maggiori, tenuti nascosti all’interno delle stanze del potere per non portare alla luce un disaccordo tra il capo dello stato e il capo del governo. Anche Einaudi obbligò Pella a cambiare la sua compagine governativa. Einaudi non è un presidente a caso. Oltre ad essere il primo Presidente della Repubblica, è stato il pieno osservatore di essa. Avendo un passato in Gran Bretagna, Einaudi interpretava il ruolo del presidente della Repubblica alla stregua di quello del monarca inglese: non autorizzato a intromettersi nelle discussioni politiche. Si obietta che Mattarella abbia infatti voluto dare un indirizzo politico che non gli compete. Anche questo non mi sembra corretto. Mattarella aveva proposto Giorgetti in via XX Settembre. Giorgetti a differenza di Savona non è un tecnico ma fa parte attiva del partito politico che componeva la maggioranza in essere. Come si può affermate che Mattarella voglia dare un indirizzo politico diverso bocciando un tecnico e proponendo come ministro un esponente del partito?

Le ragioni di Mattarella non si fermano solo alla costituzione materiale. Come fatto notare da Zagrebelsky, il presidente della Repubblica non è un semplice notaio ma è chiamato a garantire la costituzione. L’articolo 68 chiaramente afferma infatti:

“Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale, è il garante dell’indipendenza e dell’integrità della nazione, vigila sul rispetto della Costituzione, assicura il rispetto dei trattati e dei vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia ad organizzazioni internazionali e sovranazionali”

Tutti i suoi atti devono essere fatti alla luce di questo articolo a maggior ragione quando vi è una responsabilità diretta come la nomina dei ministri come da articolo 92 precedentemente menzionato. La nomina di Savona comportava un rischio sia del rispetto della costituzione sia dei vincoli internazionali. Si può discutere quanto fosse alto il rischio ma questo indubbiamente c’era. Il tutto parte dal famoso “piano B” che potete trovare a questo link. I punti salienti al fine della nostra discussione sono:

  • Il piano è da attuare in segreto (no referendum, no voto in parlamento)
  • Il piano avrebbe portato ad una svalutazione minima del 15-25% e probabile default
  • Inflazione e perdita d’acquisto dei salari
  • Difficolta di aziende e privati che hanno debiti in Euro all’estero

La segretezza significa che né il parlamento né il popolo attraverso un referendum possano esprimersi. In poche parole una decisione che vale del futuro del paese viene presa da poche persone perché la segretezza è alla base della decisione. Le rassicurazioni di Savona del non voler uscire dall’Italia sono inutili se a dirle è uno che vuole uscire in segretezza ed è appoggiato da forze politiche che nella prima bozza del contratto prendono in considerazione misure per uscire dall’Euro. Inoltre il piano comporterebbe una violazione dei trattati internazionali in quanto l’Italia si tirerebbe fuori senza il loro rispetto. L’articolo 47 della costituzione inoltre afferma:

La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese. 

L’economia non è una scienza esatta ma penso che tutti possiamo essere d’accordo che svalutazione, default e inflazione siano tutto tranne una forma di tutela del risparmio.

Sulla base di tutto questo, Mattarella ha ritenuto la nomina di Savona un potenziale rischio per il rispetto della costituzione e in quanto garante ha sentito di avere il dovere di stoppare la nomina. Uno può condividere o meno le paure di Mattarella. Personalmente ritengo abbia fatto un errore perché aveva altri mezzi per controllare affinché il governo agisca in conformità alla costituzione (per esempio rimandando le leggi in parlamento). Il punto è che Mattarella abbia agito nel tentativo di rispettare la costituzione e se lui riteneva Savona un pericolo per essa aveva il diritto e l’obbligo di fermare la nomina. Una cosa è discutere se le preoccupazioni di Mattarella siano giustificate, un’altra è accusarlo di violare la costituzione, di aver fatto un golpe o di ipotizzare un impeachment che non ha nessuna speranza di avere esito positivo davanti alla Corte Costituzionale. Una cosa è dire che Mattarella ha violato la costituzione, un’altra è dire che le valutazioni che hanno portato Mattarella a quella decisione siano sbagliate.

La distinzione può sembrare di lana caprina ma in realtà è essenziale per capire come certe forze politiche agiscono e come questo comportamento sia dannoso per la democrazia nel nostro paese. La politica non ha più a che fare con il ragionamento e la discussione. Il voto viene conquistato con l’uso delle emozioni come precedentemente spiegato. Riscaldare gli animi è una strategia vincente. Creare vittimismo (il mio voto non conta), trovare un nemico (la Germania, la UE i mercati), galvanizzare le folle dando all’elettore le vesti dell’eroe sono mezzi di marketing politico per ridurre il pensiero critico e legare a se gli elettori. Anche le ragioni dietro l’impeachment avevano a che fare piú con le emozioni che con le considerazioni razionali:  “Impeachment per il capo dello Stato serve a evitare le reazioni della popolazione”   Il problema è che questo modo di fare politica è efficace per creare consenso ma pone rischi alla tenuta della democrazia. Una volta che le persone sono convinte che il loro voto non conti, che la democrazia non esiste e le istituzioni sono delegittimate non rimane nulla a difesa della libertà. La democrazia non può difendersi con la forza e se lo facesse perderebbe di credibilità. La democrazia ha senso e si difende se gli attori all’interno di essa agiscono in sua difesa e nel rispetto delle sue regole. Chiediamoci se gridare all’impeachment o al golpe solo perché non si condivide le ragioni che hanno portato il Presidente a questa decisione rafforzi o meno le nostre istituzioni democratiche. Il continuo avvelenamento dei pozzi è una politica folle perché prima o poi bisogna andare a bere dai quei pozzi. Chi oggi avvelena i pozzi e frantuma la credibilità delle istituzioni, un giorno sarà chiamato a guidarle e il suo compito risulterà difficile proprio perché le istituzioni delegittimate non hanno forza. In questa maniera tutto diventa accettabile in politica (come in guerra e in amore) senza considerare che la democrazia nasce e ha la sua ragione di essere nel porre dei limiti alla battaglia politica. Senza quei limiti non vi è più democrazia ma solo dura e pura lotta per il potere. In queste condizione nessuna democrazia può resistere a lungo. Mattarella ha fatto una scelta (forse sbagliata) ma mossa dal rispetto e nel tentativo di rispettare la costituzione. Sarebbe opportuno limitare la discussione sulle ragioni che hanno portato alla decisione piuttosto che dare per scontato la violazione della costituzione. Un clima teso come quello che si respira in questi giorni non giova a nessuno ma soprattutto non giova alla nostra democrazia.

 

 

 

 

 

 

 

Il tragico errore di Mattarella!

sistema-elettorale

Anche se nelle sue prerogative (art 92 della costituzione é rafforzato dai precedenti Pertini/Cossiga su Darida,  Scalfaro/Berlusconi su Previti, Ciampi/Berlusconi su Maroni e Napolitano/Renzi su Gratteri) Mattarella ha commesso un errore politico a non far partire il governo Conte. Non credo che le sue perplessità fossero solo su Savona ma anche sulla persona di Conte che in base all’art 95 é responsabile della politica generale del governo e invece sarebbe stato una specie di passacarte del duo Salvini/DI Maio. In un governo con un presidente senza autorità e per di più non esperto in economia, Savona avrebbe avuto vita facile a dettare la sua linea. Forzando la mano peró porterà il paese al voto in un clima teso che non porta nulla di buono.

Mattarella si é opposto a Savona perché la sua nomina avrebbe dato ai mercati  un messaggio di paura in quanto il ministro scelto girava fino alla settimana scorsa con slide su come uscire dall’Euro da un giorno all’altro (il famoso piano B che attuava un abbandono dell’area Euro senza nemmeno il voto del parlamento). Le motivazioni di Mattarella sono essenzialmente due: 1) La nomina di Savona avrebbe mandato un messaggio ai mercati che avrebbero portato ad un aumento dei tassi d’interesse mettendo a rischio i bilanci statali e delle famiglie in quanto l’Italia con un tale ministro puó uscire dall’Euro da un momento all’altro 2) Problema democratico in quanto non si puó uscire dall’Euro senza un dibattito e senza averne discusso in campagna elettorale (sua paura di un’uscita all’improvviso paventata da Savona).

In entrambi i casi Mattarella sbaglia per me e avrà il risultato di peggiorare la posizione del paese economicamente e da un punto di vista democratico. La sua scelta porterà comunque a tensione sui mercati e porterà il paese alle prossime elezioni in una specie di referendum sull’euro dato che lui ha rafforzato cosi un messaggio: Lega e M5S sono anti Euro. Se fossi un investitore o avessi interessi in Italia (quote in aziende, risparmi, titolare di titoli di Stato) prenderei una posizione cauta vendendo e sganciandosi dal paese prima che sia troppo tardi fino a quando le cose tornino al meglio. I nostri mesi prima delle elezioni saranno un calvario sui mercati con un governo in carica solo per gli affari correnti. I tassi sul nostro debito saliranno e sarà più difficile per le aziende finanziare la crescita (addio nuovi posti di lavoro), chi ha i mutui pagherà di più (addio aumento dei consumi) e lo stato spenderà maggiori somme per pagare gli interessi (soldi che potevano servire per qualcosa di più utile invece che pagare grossi gruppi finanziari). Se a questo aggiungiamo che la BCE terminerà il programma di Quantitative Easing a Settembre, le cose non si mettono bene. Anche se i mercati puniscono l’Italia per l’incertezza generata da forze anti Euro, per Salvini sarà facile dare la colpa al Presidente della Repubblica.

Il problema non è solo economico ma anche politico e democratico. Lega e M5S cavalcheranno (in parte anche a ragione) l’idea di un voto tradito (anche se non erano alleati durante le scorse elezioni). Una democrazia dove le istituzioni sono deboli, dominati da partiti antisistema che basano il loro consenso sulla rabbia, senza un minimo di regole condivise (legge elettorale in primis) si rischia di brutto.  Al centro del voto ci sarà l’Europa e metteranno di mezza la Germania e tutto quello che serve per far ribollire il sangue nelle vene. Le posizioni sull’Euro si radicalizzeranno su due poli, pro o contro Euro senza dare nessuno spazio a posizioni intermedie che mirano a modificare la regole della moneta unica, la BCE o a rafforzare l’unione politica o fiscale. Inoltre avrà un procedimento a cascata all’interno delle due forze politiche rafforzando chi ha posizioni anti Euro, creando le condizioni per la classica previsione che si autoadempia.

Mattarella ha fornito un grossolano aiuto a Salvini che probabilmente otterrà il suo obbiettivo: andare al voto in un clima rovente che lo avvantaggia. Di Maio dall’altra parte si é fatto raggirare e forse ha capito dopo il trappolone in cui si è cascato. Per settimane ci avevano detto che le poltrone e i nomi non contavano ma quello che gli premeva era di portare il contratto al governo. Invece si sono impuntati proprio sul nome, un nome lontano anni luce dall’idea del politico grillino. Un nome figlio dell’establishment che ha lavorato in aziende a cui il M5S si è sempre opposto (Unicredit e Impregilo) senza parlare dei suoi guai giudiziari. Invece hanno sostenuto Salvini, che alla luce dei sondaggi, pensa di arrivare al governo da solo e tanti saluti ai veti di Di Maio o Mattarella. Salvini sapeva che Savona era irricevibile da parte di Mattarella e usa il suo nome per andare al voto senza prendersi la colpa di aver rotto.  Inoltre andrebbe al voto portando un M5S compromesso agli occhi degli elettori progressisti del M5S che non hanno visto di buon occhio il tentativo di formare un governo con la Lega. Stessa Lega che avrá un richiamo molto piú forte nei confronti di quegli elettori del M5S che sono contro l’Euro e l’Europa in generale.

Mattarella doveva ingoiare il rospo e mandare Lega e M5S a governare ma soprattutto obbligarli a fare i conti con le loro promesse fatte. In quanto presidente ha la facoltà di rimandare al parlamento le leggi senza copertura e adottare la politica dei moniti. Sarebbe stata una legislatura di scontro ma almeno avrebbe aperto un dibattito e smascherato le bugie e le illusioni generate da due forze politiche che hanno sempre basato il loro consenso sull’essere anti-establishment, carta che diventa piú difficile da usare una volta arrivati al potere. Mattarella é un intellettuale di altri tempi, sicuro che con la ragione si possa spiegare e convincere tutti su temi materiali come questo ma la realtà é diversa e quello che conta sono le emozioni…cosa che Salvini ha capito benissimo e sa fare molto bene. Cosa che gli riuscirà ancora meglio nelle prossime settimane. Sono sicuro delle buone intenzioni dietro la decisione (sicuramente sofferta) ma il risultato che otterrà rischia di essere catastrofico.

Post Scriptum: Alla luce della formazione del governo Conte, bisogna ammettere che quello che sembrava un errore politico si é trasformato in un successo per Mattarella che ha ottenuto quello che cercava: un governo M5S e Lega senza una evidente rottura anti Euro. Ha chiamato il bluff di Di Maio e Salvini e ha portato la partita a casa. Una partita rischiosa ma vinta dal suo punto di vista.  Chapeau!

 

 

 

 

 

Democrazie contro

Grecia

Per quanto sia stato contento della vittoria di Tsipras, e per quanto ritengo necessario finire le politiche di austerity prima possibile, per me il referendum di oggi rimane una mina per il futuro non solo dell’Europa ma anche della democrazia come la conosciamo noi oggi. Credo che questo referendum possa rappresentare il primo passo verso un’Europa divisa e verso democrazie più autoritarie animate da un populismo esasperato.

La Grecia ha votato contro l’austerity ma ha soprattutto votato contro il piano dei creditori. Ora Tsipras forte della volontà del popolo greco tornerà al tavolo delle trattative mettendo sulla bilancia il chiaro voto elettorale che va rispettato. Spero che abbia fatto bene i suoi conti ma sinceramente credo che purtroppo troverà le porte chiuse davanti. Anche la Merkel e’ espressione della volontà democratica del popolo tedesco, volontà che va rispettata quanto quella greca. La cancelliera sa bene che qualsiasi accordo con il governo greco deve passare dalla forche caudine del Budenstag (parlamento tedesco). In altre parole anche il popolo tedesco attraverso i propri rappresentanti dovrà dare il proprio consenso a qualsiasi accordo. Difficilmente il parlamento tedesco approverà un piano annacquato soprattutto se il piano prevederà uno sconto sul debito greco, ovvero una perdita da parte dei contribuenti tedeschi.

Per questo motivo sia Hollande che la Merkel hanno pochissimo spazio di manovra e a rimetterci sara’ l’idea di un europa democratica e più giusta. Se si lascerà andare la Grecia alla bancarotta e fuori dall’Euro, sara’ la sconfitta dell’idea di un Europa solidale e la dimostrazione evidente che nonostante tutti questi anni di collaborazione i popoli europei sono animati da egoismi nazionali rimettendo indietro le lancette dell’orologio del continente a un epoca di divisione che ha portato nulla di buona al vecchio continente. L’Euro e il processo di unificazione europeo non apparirebbero più’ irreversibile rischiando di travolgere con se le maggiori forze costituzionali europee che in quel progetto dicono di aderire con il rischio che ne consegue per le singole democrazie. Se si approverà un piano generoso nei confronti dei greci, le forze populiste avranno vita facile nell’accusare i propri governi di buttare al macero i soldi dei contribuenti e a rappresentare l’Europa come una mangiatrice di tasse. Popoli e democrazie contro, tutto il contrario di quello per cui l’Europa era nata, tradita dalle politiche di austerità.

Quello che vedo e’ si la sacrosanta volontà del popolo greco di porre un fine a questa assurdità economica dell’austerity ma non posso ignorare di vedere il fallimento della politica. Da parte greca, andare ad un referendum a democraticità limitata, ha segnato la sconfitta della democrazia rappresentativa che ha preferito portare al voto una questione tecnica e per nulla chiara per sfuggire alle proprie responsabilità. Da parte Europea invece si e’ trasferito il debito dalle banche ai propri contribuenti senza il coraggio di spiegare quello che si e’ fatto e il perché di tutto ciò, ignorando gli errori commessi che hanno stroncato l’economia greca, semplificando il tutto facendo passare l’idea che si tratta di un popolo che non vuole pagare i propri debiti.

Sconfitta della politica perché ci troviamo di fronte all’incapacità’ non solo di mettere in piedi una politica diversa dall’austerity ma soprattutto di cambiare la cultura dominante fatta di egoismo e ed edonismo sfrenato. Se non si cambia la cultura dominante, difficilmente si possono cambiare le politiche. La vittoria del No (il SI non avrebbe portato a risultati migliori) e il comportamento dei governi europei, incapaci di prendere le giuste misure per la paura di perdere consensi,  rischia di animare questi egoismi.

In Grecia ha vinto il NO, ma chi rischia di perdere veramente e’ la democrazia in Europa in un vuoto politico da far paura. Allacciamo le cinture perche’ nei prossimi mesi ci tocchera’ ballare in questo vuoto che verra’ riempito con la retorica nazionalista.

Seguici su twitter:@viamila18

Un referendum a democraticita’ limitata

16623_10153077013309899_1259357453446808575_n

Domenica prossima il popolo ellenico sara’ chiamato alle urne per accettare o meno il piano dei creditori. Da piu’ parti si sta esaltando il carattere democratico della possibilita’ dei greci di poter finalmente mostrare il dito medio alle istituzioni finanziarie internazionali. Questa esaltazione nasce da una visione ristretta della democrazia che considera il voto come condizione unica e necessaria per avere una democrazia, senza considerare il contesto e il processo che porta al voto.
Come gia’ evidenziato da Sartori nel suo “Homo Videns”, il risultato di qualsiasi tornata elettorale e’ si l’espressione della volonta’ popolare, ma quello che conta veramente per valutare la democracita’ di un voto e’ come questa volonta’ si e’ formata.
Si puo’ considerare democratico un voto dove la gente si reca alle urne con il terrore di vedere i propri risparmi sparire dopo una settimana passata a fare la fila ai bancomat? Possiamo ritenere democratico un referendum organizzato in fretta e furia con una settimana appena di campagna elettorale senza una vera e propria discussione? Che senso ha un voto dove nessuno sa con certezza cosa accadra’ alla Grecia in caso i No vincano?
La verita’ e’ che questo rerendum risponde piu’ a logiche di potere che a principi democratici. E’ la “exit strategy” di Tsipras dopo non essere stato in grado di conciliare le sue promesse elettorali con le richieste dei creditori. Una vittoria dei No significhere portare la Grecia al default (con tutto quello che ne consegue nel breve periodo) senza poter addossare colpe al governo che ha semplicemente eseguito la volonta’ popolare. In caso di vittoria del Si, il governo sarebbe costretto alle dimissioni lasciando ad altri il duro compito di implementare le dure ricette per accontentare i creditori, permettendo a Syriza di mantenere il consenso dall’opposizione. Anche se rimanesse al governo, Syriza giustificherebbe il cambio di programma come scelta obbligata per rispetto della volonta’ popolare cosi come uscita delle urne.
In questo blog abbiamo visto con favore la vittoria di Tsipras, sottolineando come questa vittoria avrebbe avuto senso solo come catalizzatore delle forze di sinistra europee. Si e’ sottolineato anche come la Grecia non ce l’avrebbe fatta da sola. Purtroppo non solo la Grecia non e’ riuscita a diventare la scintilla per un cambiamento dell’ideologia economica dominante in Europa ma e’ diventata l’occasione per mandare un messaggio minaccioso agli altri paesi in difficolta’: si punisce Atene per avvertire gli elettori nel caso gli venga in mente di votare tutte le forze politiche anti Euro, da M5S a Podemos.
L’incapacita’ di trovare un accordo sul debito greco non e’ solo il fallimento dell’estrema sinistra greca ma della politica in Europa, incapace di fornire un’alternativa valida alle politiche dominanti.
La classe politica europea e’ palesemente priva di un progetto politico, riducendo la politica e il ruolo dello stato a semplice regolamentatore, lasciando ai mercati il compito di costruire il nostro futuro. La Grecia sara’  un altra occassione persa per cambiare non solo l’Europa o la gestione dell’economia ma soprattutto per mettere un argine al populismo crescente. La miope politica di punire la Grecia per educare il resto degli europei rafforzera’ semplicemente il sentimento e la visione di un’ Europa che tiene prigioniera i propri popoli. Come gia’ evidenziato in precedenza, a rischio non e’ soltanto l’Euro o il progetto di un’Europa piu’ coesa ma soprattutto la stessa democrazia come la conosciamo oggi, in un momento dove tante forze politiche sovrappongono democrazia, Europa ed Euro in un unico obbiettivo. Per questo motivo, la Grecia non e’ soltanto una mattonella di un domino economico ma anche politico. Qualunque sia il risultato del refendum,  avremo una Grecia attraversata da un senso di umiliazione, di rivalsa nei confronti dell’Europa e di risentimento verso la classe politica che ha svenduto il paese. Una miscela esplosiva, pronta ad alimentare un nazionalismo esasperato che minacerebbe la democrazia greca. Ironia della storia, il tutto nel paese dove la democrazia e’ nata con l’aiuto della forma piu’ alta di democrazia: un referendum.

Seguici su twitter:@viamila18

Come l’Euro ha radicalizzato la scena politica europea.

articleGal_3659_3514.w_hr

Le politiche di austerità per “salvare” i bilanci degli stati e con esso l’Euro hanno portato ad aggravare la crisi finanziaria iniziata dall’altra parte dell’oceano. Una delle conseguenze dirette della crisi e’ stata l’assottigliamento dei ceti medi e la precarizzazione di tanti giovani. Questo ha aumentato la rabbia e il senso d’insoddisfazione nei confronti della politica che ha portato a una radicalizzazione sempre maggiore dell’elettorato europeo. Quasi tutti i paesi europei hanno visto l’emergere e il rafforzarsi di forze populiste che stanno mettendo in crisi i sistemi politici introducendo una terza variabile con cui fare i conti che rende la formazione dei governi sempre più difficile. Il futuro dell’Europa potrebbe essere non solo caratterizzato dall’instabilità economica ma anche politica che porterebbe al definitivo declino del continente. In un momento in cui servirebbe una maggiore collaborazione tra i vari paesi, l’avvento al potere di queste forze renderebbe più difficile questa collaborazione. La crisi è certamente la causa principe di questi movimenti ma non solo in termini economici.

Queste forze sono state aiutate anche dall’associazione della parola Europa con crisi (non solo Euro, basti pensare all’UKIP in Gran Bretagna) e dalla mancanza di una vera alternativa al liberismo economico. La costruzione dell’Europa e’ stata condivisa da quasi tutte le forze politiche democratiche in Europa, non importa il colore politico. Conservatori, liberali e socialisti avevano nell’Europa uno dei pochi punti in comune. Per non ripetere le tragedie dl secolo scorso, quasi tutte le forze politiche tradizionali si riconoscevano nel progetto europeo differenziandosi magari sul livello d’integrazione da attuare o sui temi cui dare un indirizzo comune. Con la fine del muro di Berlino, si è assistito alla trasformazione del concetto di Europa in una specie di cavallo di troia per l’attuazione di politiche liberiste. Al crollo dei regimi dell’Est, molte forze di sinistra, tra cui quella italiana, si sono trovate orfane di punti di riferimento e hanno piano piano adottato i modelli liberisti per far dimenticare il loro passato imbarazzante a sostegno di regimi e sistemi fallimentari . Dall’altra parte, anche molti partiti di centro che avevano la dottrina sociale della chiesa come punto di riferimento hanno lentamente adottato una visione economica sempre piu’ lontane da quella tradizione. La mancanza di una proposta per un’Europa diversa e la pressione dei mercati hanno fatto si che una volta al potere le sinistre hanno continuato a portare avanti l’agenda liberista, spesso con la scusa che “ce lo chiede l’Europa”. Allo scoppiare della crisi, tutti i governi che si sono succeduti (indipendentemente dal colore politico) hanno adottato le stesse politiche di austerità per rimanere in linea con i trattati europei  e “salvare” l’Euro. In questa maniera Euro, Europa e crisi sono diventati sinonimi e perfetta piattaforma comunicativa per le forze populiste.

Qualsiasi nuova forza che entri nel panorama politico ha la necessità di differenziarsi da quelle esistenti. Il fatto che quasi tutte le forze politiche esistenti (chi piu’ chi meno) si sono impegnate nella difesa dell’Europa ha permesso alle forze populiste di sovrapporre in un unico obiettivo da combattere l’Europa e tutti i politici esistenti a sua difesa. Questo ha permesso non solo di differenziarsi con successo ma ha anche fornito un argomento di facile presa nei confronti degli elettori in un momento dove l’Europa viene vista come la causa della crisi con le sue politiche di austerità . L’argomento “Europa/Euro uguale crisi”  permette di semplificare la realtà, è un argomento neutro che permette di sottrarre voti a tutte le forza politiche non importa il colore, può essere usato per far dimenticare il proprio passato nel nome dell’urgenza del presente (Front National) ma soprattutto semplifica il messaggio politico impastandolo di un forte carattere emotivo. Una volta che ci si pone come alternativa al resto della classe politica filo europeista e’ facile raccogliere i voti da parte delle vittime della crisi che vedono l’Europa come causa della crisi stessa. I loro discorsi tendono a dipingere l’Europa in maniera semplicistica,  come causa di tutti mali che scomparirebbero magicamente una volta ucciso il mostro. Questa visione dell’Europa permette a queste forze di indossare le vesti di unici difensori del popolo contro le macchinazioni diaboliche di Bruxelles e gli effetti perversi dell’Euro.

In questa maniera l’Euro e l’Europa sono stati utilizzati dai partiti populisti come clavi per aprirsi uno spazio nel dibattito politico. Questo ha portato sulla scena politica non solo nuove forza politiche ma anche altri temi usati come cavalli di battaglia: pena di morte, limitazione al culto (vedi islam), respingimento con la forza di immigrati, maggiori poteri alla polizia, democrazia plebiscitaria sotto le vesti di democrazia diretta, aumento spese militari, negazione dei diritti civili etc. Il risultato finale e’ un dibattito politico acceso emotivamente che porta a una radicalizzazione sempre maggiore degli elettori europei.

La responsabilità principale dell’ascesa di queste forze e’ sulle spalle della sinistra incapace di fornire una visione alternativa di Europa incentrata sul concetto di uguaglianza. Quell’eguaglianza che ridarebbe fiato ai ceti medio-piccoli rilanciando l’economia, quell’eguaglianza che rafforzerebbe la democrazia e le nostre istituzioni non più’ viste come strumenti per arricchire pochi. Il concetto di uguaglianza deve essere al centro soprattutto di una battaglia culturale nel momento in cui la crisi sembra ricacciare i popoli nel guscio del proprio egoismo. Solo con un programma comune delle sinistre europee  puo’ salvare non solo l’Euro e con esso il progetto europeo ma anche la stabilita’ politica di tanti paesi prima che la disperazione porti a svolte radicali. Una volta arrivato al potere Il populismo ha sempre fallito   e dopo aver sminuito le istituzioni non rimane nulla a difesa della democrazia.

E’ arrivato il momento di un piano comune che coinvolga anche quelle forze di sinistra al di fuori del Partito Socialista Europeo che hanno trovato forza e legittimità appropriandosi dei temi ormai abbandonati dalla sinistra storica. La necessita’ di coinvolgere queste forze e’ necessario anche per evitare la deriva populista di queste forze (vedi Syriza o Podemos). Il tempo stringe ma se la sinistra non sara’ in grado di fornire una risposta, questa verrà cercata altrove,

Seguici su twitter:@viamila18

Il lato oscuro della raccolta firme per il referendum per l’uscita dall’Euro

ref lira

Con la pubblicazione del video pubblicitario sulla rete, entra nel vivo la campagna del M5S per raccogliere le firme per un ipotetico referendum per uscire dall’Euro e tornare alla Lira. Non voglio entrare nel merito economico della questione avendo già ribadito la necessità di cambiare le regole alla base dell’Euro, non solo per porre un fine alle politiche liberiste, ma anche per limitare i danni alle nostre democrazie. Vorrei invece riflettere sul lato politico di questa iniziativa e sulle sue ripercussioni sul rapporto tra cittadini e istituzioni.

Questa raccolta di firme è inutile e non ci sarà nessun referendum perché’ verrà bocciato dalla Corte Costituzionale in base all’Art 75 della nostra costituzione:

“Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio di amnistia e di indulto  di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”

L’Euro fa parte di un trattato internazionale ed è anche un tema che ha un ambito tributario. Anche nel caso che sia una semplice raccolta di firme per un legge di iniziativa popolare per avere un referendum consultivo, la cosa non e’ possibile in quanto ci vuole una legge costituzionale ad hoc per averlo come nel caso del referndum del 1989 sulla trasformazione della Comunita’ Europea in Unione. Inoltre il referendum consultivo sarebbe comunque soggetto all’Art 74 della costituzione. Ammesso e concesso che si possa fare un referendum, non si deve dimenticare che non c’è nessuna clausola di uscita dall’Euro all’interno dei trattati che la regolano. Un’eventuale uscita andrebbe discussa con gli altri paesi rendendo il percorso meno facile di quanto il video del movimento grillino faccia pensare.

Perché allora il M5S sta raccogliendo le firme illudendo tanti italiani? Certamente quest’azione ha il fine di rafforzare il proprio consenso. Da una parte si marca la differenza con altri partiti (PD e Forza Italia), dall’altra si riappropria della bandiera anti-Euro per non lasciarla solo a Salvini e alla fine si raccoglie il voto dei tanti scontenti che attribuiscono ( in parte a ragione) le loro difficoltà economiche alla moneta unica. Questo però non è il solo aspetto. Vi è un altro aspetto da considerare che ha un risvolto molto più pericoloso a mio avviso. Attraverso questa raccolta di firme si cerca di radicalizzare il consenso cercando proprio la bocciatura della Corte Costituzionale.

Una volta che le firme sono raccolte e il referendum bocciato, il M5S attaccherà la Corte Costituzionale e la classe politica accusandole di essere sorde davanti alla volontà popolare. Le centinaia di persone (milioni?) che avranno firmato si sentiranno tradite e non rappresentate dalle istituzioni. La rabbia e la frustrazione generata saranno manna dal cielo per il movimento da un punto di vista elettorale. Fino a questo momento il M5S ha sfruttato la rabbia (giustificata) di tanta gente per creare consenso avendo il merito di averla indirizzata in una maniera non violenta. Il referendum per il ritorno alla Lira segna un nuovo modo di fare politica da parte del movimento: creare le condizioni per aumentare la rabbia e rafforzare il legame emotivo con i propri elettori.

Si potrebbe obbiettare che effettivamente la classe politica è sorda alle istanze popolari (vero) o che la raccolta firme è solo una maniera per creare il dibattito sul tema dell’Euro dato che ormai viene purtroppo visto come un dogma da buona parte della nostra classe dirigente. Queste obiezioni non giustificherebbero l’azione intrapresa. L’unico risultato che il movimento otterrà è l’aumento della rabbia degli italiani nei confronti delle istituzioni e delle regole democratiche. Una volta che le istituzioni perdono la loro legittimità e le regole del vivere comune hanno perso il loro valore, la fine della libertà è vicina. Giusto per evitare fraintendimenti, non vogliamo asserire che il M5S stia per instaurare una dittatura, quello che vogliamo affermare è che queste iniziative tendono a creare un clima culturale foriero di svolte autoritarie anche all’interno di un guscio vuoto apparentemente democratico. Le istituzioni sono l’incarnazione della nostra democrazia che si fa presenza e funziona attraverso di esse. La forza di una democrazia dipende dalla forza delle istituzioni. Una democrazia che cammina su delle istituzioni fragili e’ una democrazia destinata a cadere prima o poi.

Una forza politica responsabile dovrebbe lavorare per avvicinare le istituzioni ai cittadini e non dovrebbe mai intraprendere iniziative a scopo elettorale che hanno il solo scopo di fomentare la rabbia e il senso di distacco dei cittadini delle proprie istituzioni. E’ vero che per decenni la nostra classe politica ha utilizzato le istituzioni per i propri fini personali, ma si dovrebbe lavorare per cambiare la classe politica e porre un maggiore controllo democratico sulle istituzioni. Invece si fa l’esatto contrario, si creano le condizioni affinché’ tanti italiani si sentano traditi dalle proprie istituzioni.

Per questi motivi, la raccolta di firme per il ritorno alla Lira e’ una mossa populista che buttera’ altra benzina nel fuoco rancoroso di tanti italiani che sta consumando la loro fiducia nei confronti della democrazia. Tutte le forze politiche che si riconoscono nella nostra costituzione credendo nel principio democratico per gestire la vita di un paese dovrebbero lavorare per rafforzare le istituzioni e la fiducia in esse da parte dei cittadini. Le istituzioni e le persone che le compongono possono e devono essere soggetto di critica ma questa deve essere costruttiva e mirata a rafforzarle. Invece si continua a far confusione tra politici e istituzioni mandando tutto in malora non rendendosi conto in questa maniera l’unica cosa che va in malora e’ proprio la democrazia.

Seguici su twitter:@viamila18

Syriza e l’ennesima opportunità per la sinistra europea

16623_10153077013309899_1259357453446808575_n

Nell’articolo precedente abbiamo posto l’accento sull’importanza della vittoria di Syriza per rompere quel sinonimo tra democrazia e politiche del rigore riportando la democrazia a essere un’arena neutra dove proposte diverse si confrontano. Contemporaneamente si metteva in guardia sul difficile cammino per Tsipras e soci. Da sola la Grecia non ce la può fare e la vittoria di Syriza ha senso solo se questo è un inizio di riforme non solo in Grecia ma soprattutto all’interno dell’area Euro. Un’uscita dell’Euro da parte della Grecia o un Euro con regole immutate sarebbero entrambi la sconfitta non solo di Syriza ma anche di quella parte dell’Europa democratica che non si arrende all’austerità e che cerca una via più solidale.

Ancora una volta si ripresenta la necessità da parte della sinistra europea di avere un’agenda comune. Nessun paese si può illudere di attuare riforme che mirino a una maggiore eguaglianza senza essere penalizzato dai mercati in un modo dove il denaro non ha più frontiere.  La stessa Grecia dentro o fuori dall’Europa ha bisogno di accedere ai mercati internazionali per finanziare il proprio debito. Anche nel caso di una mossa unilaterale da parte di Atene di non rispettare le obbligazioni del proprio debito, il governo greco si troverebbe comunque nella necessità di accedere ai mercati internazionali per finanziare la propria macchina statale a condizioni sempre più proibitive.

Certamente si può puntare a una cancellazione parziale del debito greco insieme con un allungamento delle scadenze della parte restante ma questo non basta. E’ necessario dare all’Europa un indirizzo economico diverso con politiche economiche comuni di stampo Keynesiano. E’ possibile uscire dalla recessione mantenendo l’Euro solo con programmi d’investimento comuni, attraverso il trasferimento di parte dei debiti nazionali all’Europa (Eurobond) e con piu’ poteri d’intervento da parte della Banca Centrale Europea (il quantitative easing va nella direzione giusta ma non basta).

Queste riforme sono ostacolate principalmente dalla Germania e dai circoli liberisti sparsi un po’ da per tutto nel vecchio continente. L’Europa e l’Euro avevano come principio fondatore la necessità di limitare gli egoismi nazionali. Se l’Euro diventa un nuovo strumento per difendere questi egoismi allora tanto meglio cercare una fine concordata per la moneta unica prima che le sue regole strozzino gli europei e con essi anche le nostre democrazie. La fine dell’Euro non significherebbe automaticamente la fine del sogno Europeo ma certamente sarebbe un colpo quasi mortale al suo futuro.

Per questo motivo, la vittoria di Tsipras ha senso solo se serve come catalizzatore delle forze progressiste europee per un piano comune che miri non solo a salvare la Grecia ma anche l’idea di un’Europa sociale. Qualsiasi altro risultato politico sarebbe una sconfitta.

Se la Grecia uscisse dall’Euro, Syriza rischia la deriva populista dando forza alle sue componenti piu’ radicali e meno liberali mettendo in crisi la stessa democrazia greca. Con l’uscita della Grecia, il principio di solidarietà tra i popoli europei sarebbe messo in crisi e con esso la ragione stessa dell’esistenza dell’Europa come soggetto politico agli occhi di tanti cittadini europei. Nello stesso momento, si rafforzerebbe l’idea di un’Europa dove ha diritto di rappresentanza solo l’ideologia liberista. La Grecia all’interno di un Euro senza riforme porterebbe alla sconfitta politica di Syriza con il risultato di dar forza ad Alba Dorata che apparirebbe agli occhi dei greci come l’unica soluzione per uscire dalla spirale debito-crisi.

Solo un’agenda comune basata su un’idea diversa di Europa può salvare non solo la Grecia ma anche il futuro dell’Europa. Lasciare la Grecia da sola sarebbe un errore imperdonabile dalle conseguenze nefaste non solo da un punto di vista economico ma soprattutto politico. La nuova fase politica che si e’ aperta in Grecia e’ un’altra opportunità’ per la sinistra europea per trovare una ragione comune e aprire una nuova fase politica in Europa. Se questo non sara’ possibile, il rischi di un’Europa ripiombata negli egoismi nazionali tornerà ad essere un presente che avremmo voluto che fosse parte solo delle pagine più tristi della nostra storia.

Seguici su twitter:@viamila18

La speranza greca e il futuro della democrazia in Europa

Grecia

La vittoria di Syriza in Grecia rappresenta una speranza non soltanto per la Grecia e il suo popolo stremato dalla crisi ma anche un’opportunità per la democraticità delle istituzioni europee e per la democrazia in generale. Negli ultimi anni abbiamo vissuto un appiattimento del dibattito politico dominato dalle forze dell’austerità che hanno imposto la loro agenda politica fatta di tagli allo stato sociale e agli investimenti pubblici con effetti negativi sull’occupazione e un generale impoverimento dei ceti medio-bassi. Qualsiasi altra proposta è stata marginalizzata e resa quasi incostituzionale, basta vedere la nostra riforma costituzionale che ha imposto il pareggio di bilancio.

Una democrazia non esiste se il dibattito è animato da campane che intonano la stessa musica. La democrazia si rafforza dal confronto di idee diverse che aprono la strada a scelte diverse. Negli ultimi anni democrazia e Europa sono diventati quasi sinonimi di austerità.  Nel momento in cui nessuna forza politica (soprattutto a sinistra) è stata in grado di portare avanti un’agenda diversa, a tanti giovani e alle vittime della crisi, la lotta per un futuro migliore è passata per l’opposizione all’Europa e ai valori democratici. Se nessuno nell’arena democratica e all’interno delle istituzioni europee si fa voce di istanze diverse, risulta naturale pensare che la lotta alle politiche liberiste è  tutt’uno con l’opposizione all’Europa e alle istituzioni democratiche. Basti pensare alle minacce di buttar fuori la Grecia dall’Europa nel caso in cui il governo di Atene attuasse politiche diverse. In questa maniera si rafforzano solamente movimenti e forze di estrema destra in tutto il continente: dalla lega all’UKIP, da Alba Dorata al Front National. Il grado di estremismo è  diverso ma tutte queste forze hanno in comune l’opposizione all’Europa e auspicano una svolta autoritaria della democrazia.

Syriza può finalmente rompere questa sovrapposizione tra democrazia e politiche di austerità e dare un’alternativa al continente. Solo in questa maniera la democrazia può tornare a essere un’arena neutra per il confronto tra proposte diverse e non il grimaldello per imporre politiche a senso unico. Solo tingendo il futuro di speranza, si evita lo sfaldamento delle nostre società e i valori di libertà e uguaglianza possono funzionare in pieno. Nessuna democrazia può funzionare con un ceto medio che si restringe e i ceti bassi condannati alla precarietà. Questa non è soltanto una lotta per dare una condizione migliore agli Europei, questa è una lotta per difendere la democrazia e i valori universali ad essa associati.

Il cammino avanti non sarà facile per diverse ragioni. Non dimentichiamoci che Syriza è una collezione di correnti con il costante rischio di frantumarsi al momento di prendere le decisioni… vecchio vizio di sinistra non importa il paese. Inoltre la Grecia è un piccolo paese in termini di popolazione e di PIL e da sola non sarà in grado di cambiare l’Europa se non trova sostegno in altri governi e forze politiche nel resto del continente. La sfida più grande sarà comunque quella di cambiare il paese all’interno di regole troppo rigide, auto-inflitte dalle istituzioni europee e in opposizione alle forze del mercato.

La speranza è  che questa vittoria sia comunque un inizio di una discussione seria sul futuro non solo della moneta unica ma anche su quale progetto di Europa aspiriamo. Molto dipenderà dalla reazione tedesca e dei falchi dell’austerità. Se alle istanze greche venisse posta la sola alternativa dell’uscita della Grecia dall’Euro , sarebbe un’ulteriore conferma del sinonimo Europa/ austerità. Il muro contro muro tra le aspirazioni greche e l’ortodossia economica di Francoforte senza una soluzione di compromesso sarebbe un duro colpo non solo ad un Europa solidale ma anche all’idea di democrazia. Non ci può essere democrazia dove delle idee non hanno diritto di rappresentanza e c’è liberta di discutere una sola alternativa. Questo non solo sarebbe un regalo alle forse reazionarie del continente, cui sarà ancora più facile usare Europa e crisi come sinonimi, ma anche per tanti sinceri democratici impegnati a costruire un’Europa diversa: davanti ad un’Europa ridotta a camicia di forza a misura dei falchi del liberismo, la distruzione dell’Europa apparirà come unica possibilità per dare un significato alla democrazia.

Per questo motivo il futuro della Grecia è il futuro dell’Europa. Se Tsipras fallirà e con lui la possibilità di proporre un’Europa diversa, il nostro continente sarebbe esposto a una svolta a destra che rischia di travolgere con sé non soltanto le istituzioni Europee ma anche la democrazia come la conosciamo oggi.

Seguici su twitter:@viamila18

La religione e’ l’oppio dei popoli…anche a Wall Street

DSC00611

Con questa frase Marx criticava il cristianesimo come forma d’indottrinamento delle masse per tenerle sotto controllo. Perché oppio? Perché la religione cristiana e` basata su dogmi e come tutti i dogmi questi vanno accettati e non discussi. Tutto viene trasformato in un atto di fede, generando la passiva accettazione di quello che viene detto. Come l`oppio rende l`uomo inerme, cosi l’accettazione dei dogmi spegne la ragione e rende i fedeli passivi.

Non voglio parlare di religioni o di chiese, ma di ben altre religioni che non hanno nulla che fare con il metafisico ma con la vita di tutti i giorni. Mi riferisco a tutte quelle teorie politiche o economiche che tendono a rendere la gestione della cosa pubblica non più` un atto razionale, ma un atto di fede. La politica non e` messa a servizio delle persone ma alla realizzazione di una ideologia che diventa una nuova religione. Non importa che la realtà dimostri che quello che viene professato sia fallimentare, i fedeli verranno comunque ricompensati in futuro quando tutto sara` compiuto. Si spegne la ragione e l`onesta’ intellettuale, si interpreta e re-interpreta la realtà fino a che la realtà si sposi con la visione ideologica e non il contrario. I documentari tedeschi della seconda guerra mondiale hanno continuato a parlare di vittorie fino alla fine del Reich, ma mentre nel 40 le vittorie descritte erano grandi operazioni militari, nel 44 i documentari esaltavano la riconquista di qualche paese sconosciuto nelle pianure polacche ignorando il resto. Quando si e` accecati intellettualmente da ideologie, nel grande varietà della vita, non e` difficile trovare qualcosa che sposi la nostra visione e usare quel elemento per interpretare il resto.

Se nei decenni precedenti abbiamo visto crollare diverse religioni-politiche (dal “credere, obbedire e combattere” fino al “paradiso del proletariato” di sovietica memoria), in questi anni avremmo dovuto assistere alla fine della religione del libero mercato. Per anni, dai finanzieri di Wall street ai grandi economisti, hanno incensato il libero mercato con una fede cieca: perseguendo il proprio interesse personale, l’intera società ne avrebbe guadagnato. Lo stato veniva visto come il diavolo e non doveva intervenire a rovinare l`anima dei poveri fedeli del capitale. Non importa l’impatto sull’ambiente (il mercato correggerà tutto rendendo più` profittevoli le aziende “verdi”) o sull’occupazione (i disoccupati sono gente che non vuole lavorare…sic) quello che conta e’ lasciare la “mano invisibile” faccia il suo lavoro…… e cosi la mano invisibile ( senza un cervello razionale che la guidi) era diventata la mano sul grilletto della pistola puntata alla testa di chi l’aveva lasciata libera di fare quello che voleva.In un estremo atto di fede, la mano e’ stata libera di afferrare la pistola e puntare la canna alla tempia perché il mercato ha sempre ragione e il risultato sara` sempre un vantaggio per tutti. La pistola era il credito senza controllo che aveva prima messo in ginocchio il mondo finanziario e poi falcidiato l’economia reale.

Il problema in tutto questo non e` soltanto la cattiva gestione o l’applicazione di politiche economiche sbagliate. Il problema e` stato lo stesso di tutti i regimi autoritari: la mancanza di senso critico. Qualcuno aveva osato proporre una visione diversa ma e` stato confinato ai margini del dibattito e stigmatizzato sotto l`etichetta di “no global”. Questo ha lasciato non solo che gli errori venissero fatti ma anche che continuassero ad esistere. Non e` stato solo il fallimento di un modello di mercato ma e` stato qualcosa di piu` profondo che scuote la base delle nostre democrazie. All’alba della crisi si era invocato un intervento dello stato nell’economia per salvare la finanza e con essa l’economia. Tutti sembravano aver riscoperto il ruolo dello stato in economia e i limiti della mano invisibile. Il dogma del libero mercato che porta vantaggi a tutti sembrava finalmente infranto. Come si puo’ dimenticare la famosa copertina di Newsweek “We are all socialist now” .

Certamente non eravamo sul punto di trasformare le nostre economie in economie pianificate (per fortuna) ma sembrava finalmente possibile aprire una discussione prendendo in considerazione altri modi di organizzare la vita economica. Sembrava finalmente che politici, accademici e tutti gli attori economici stessero imparando dai propri errori. Invece a distanza di pochissimi anni e con la crisi ancora in corso, quel impeto si e’ fermato ed e’ stato usato solo per salvare i soliti noti che si ricordano di essere socialisti solo quando c’e’ da condividere i danni. Nessun serio tentativo e’ stato fatto per cambiare le regole alla base dell’Euro trasformando la BCE in una vera banca centrale, nessun aumento significativo degli investimenti statali mentre le garanzie del mondo del lavoro si assottigliano sempre piu’. La Germania sembra pronta ad accettare l’uscita della Grecia dall’Euro invece di mettere in discussione le sue regole, mentre la discussione sul trattato di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti d’America (TTIP) va avanti come nulla fosse. La droga del libero mercato va piu’ forte che mai tra chi dirige le nostre vite con la la passiva accettazione dei suoi dogmi.

Se i mezzi d’informazione, l’educazione e tutti gli strumenti che formano l’opinione pubblica sono lasciati sotto il controllo di poche persone, il libero mercato rischia di essere non solo il nuovo oppio dei popoli ma anche il veleno. Questo crisi non sara’ solo un altro 1929 ma il preludio di ben altre sciagure.

Seguici su twitter:@viamila18